Claudio Orlandi, Il mare a Pietralata-poesie e canzoni 1990-2020(Tic Edizioni, 2021), a cura di Paolo Gera

 



   Intanto c'è da dire che "Il mare a Pietralata" è un bellissimo titolo. Io nel ventunesimo quartiere di Roma, Pietralata appunto,  non ci sono mai stato. Ne ho letto in  "Una vita violenta" di Pier Paolo Pasolini, me la immagino piena di palazzi anni Settanta con tanta gente dentro, e poi ho saputo che ci passa l'Aniene, causa di fastidiosi allagamenti, che non possono essere assolutamente scambiati per salubri distese marine. Che ci sia arrivato il mare, con acqua cristallina dei tropici, Claudio Orlandi lo telefona in un suo componimento del 2020 a Carlo Bordini. Ma a quell'epoca Carlo Bordini ancora viveva o se ne era già andato? Insomma l'ossimoro urbano/marino, degrado/purezza si gioca a un livello fantasmatico e paradossale, ma comunque te la immagini proprio questa improbabile contaminazione, con le onde che lambiscono i marciapiedi pieni di cicche e con gli abitatnti che prendono i teli di spugna non per andare sotto la doccia, ma per farsi una bella nuotata. A Pietralata.

E così, senza preamboli, ci siamo immersi nella poesia di Claudio Orlandi. Il libro, pur essendo smilzo, è una cosa grossa, perché raccoglie tutta la sua opera: le poesie, le canzoni scritte per la sua band "Pane", comprese quelle inedite, mica come questi scrittori -mi batto il petto davanti allo specchio- che ne fanno uscire uno ad ogni giro di dodici mesi.

Abbiamo già fatto due nomi, Pier Paolo Pasolini e Carlo Bordini. Pasolini, 'genius loci', dà a Orlandi l'impegno civile e una certa visione appassionata e crudele della vita; Carlo Bordini gli suggerisce l'impostazione narrativa, la vocazione a raccontare piccole storie che debordano dalla classica misura dei versi. Manca un terzo punto di riferimento, fondamentale e supremo. Osip Mandel'štam, che gli lascia  lo stupore per quanta concentrazione di poesia ci possa essere nella natura e nell'esistenza.  Poesia come aria, come ozono. L'odore della poesia, ovunque. Quella poesia che si sente "rimanere nel mondo anche senza le parole".(I giochi di parole non sempre formano una poesia, vv.5-6, p.61)  Questo sentimento panico è il basamento della scrittura di Claudio Orlandi, ne costituisce la struttura profonda e vedremo in seguito come riesca ad affiorare, in squarci di bellezza, anche dalla cronaca più corriva, dall'essere "immersi nell'immondo caleidoscopio delle parole"(Ardentemente, v.7, p. 63).

Orlandi prende subito di petto e con assoluta serietà la propria vocazione  e nel componimento "Perché dovrei scrivere?", afferma di essere spaventato dalla "inutilità delle parole, di azioni non efficaci, che non pongano in essere una realtà / in grado di rivendicare la propria esistenza(...)." (Perché dovrei scrivere?, vv.1-2, p.16). Appena dopo l'asserzione di sapore fortiniano "entrare nei tessuti sociali" (v.3), viene trascesa, per salire su un versante iperbolico majakovskiano, quando l'autore russo sull'onda della rivoluzione si proponeva una vera ricostruzione dell'universo. Così Orlandi: "Spostare metri cubi d'aria. Centinaia di metri cubi d'acqua./ Questo avrebbe un senso./ Far arrossire il colore rosso. Morire d'anguria. Affogare nei fichi./ Questo avrebbe un senso./ Spostare un quintale di capelli, centinaia di metri cubi di lingue ed occhiali / cataste di legna/ ardere."(vv. 5-11). Ma la tentazione futurista che pure è presente nell'opera, questa attitudine all'ardore e al paradosso, non si nutre di presupposti superomistici, in quanto parte piuttosto dalla cultura del margine. "Viviamo ai margini / il margine vive di noi"(vv.1-2, p.20). La declinazione della marginalità come motore esistenziale viene accettata sino ai limiti estremi: " Moriremo come cani abbandonati / senza un tozzo di pane fra le mani / Invocando Mandel'štam  nel delirio." (vv. 28-30, p.21) Questo è il prezzo salato, ma necessario da pagare per la gestione della propria libertà e per riscoprire dentro il guscio  del conformismo la polpa tenera della persuasione e della verità di cui Pasolini era esperto. L'alienazione del singolo si inscrive ancora in quella crisi antropologica collettiva che lo scrittore friulano aveva profetizzato con l'avvento  in Italia del neofascismo consumistico, ma il cerchio tracciato dalla tecnocrazia si fa sempre più stretto  e porta sino alla completa reificazione identitaria. È terminata l’era delle metafore. A Kioto è stato creato un robot monaco, Android Kannon, incaricato di diffondere infallibilmente i precetti buddhisti.

Io sono uno sportello bancario

un segnale audio

Tu sei una linea telefonica

una società per azioni

Io sono un accordo internazionale

sono un’onda magnetica

Tu sei un’intelligenza artificiale

un nodo di Kirchhoff


Ti hanno bruciato le ossa, lo sai?

Ti hanno bruciato le ossa, lo sai?

(Kirchhoff, vv. 11-20, p. 24)

La denuncia della disumanizzazione è una delle cifre più rilevanti della poesia di Claudio Orlandi, dalla sfera  dei rapporti quotidiani alle nefandezze pubbliche, valga per tutte l'evocazione brutale nel testo della canzone "Abu Ghraib".

Alle sei del mattino il sole apre la bocca

ingoia le foglie umide e sputa le piume dei bambini

Le urla si lasciano toccare

dai fili dell’alta tensione

e tra i suoi denti passano camion carichi d’oro.

(Abu Ghraib(La mia intuizione è la ferocia),vv.12-16, p. 90)

La sinestesia riesce a togliere alla denuncia ogni tono retorico per arrivare a un’immedesimazione carnale. Altro procedimento anti-celebrativo è quello opposto, che porta, anche  nelle composizioni più accusatorie, note di ironica leggerezza, riuscendo a far passare il messaggio senza appesantirlo con orpelli ideologici. Le parentesi  devono essere fatte ad ogni costo saltare: “ Prendere la benzina e gettarla con forza dentro le parentesi:/ Le quadre sono adatte per i boschi, proteggono i rami vivi degli alberi giovani./ Le tonde sono consigliate in città, per non urtare i ciclisti in strada.”(Tra parentesi, vv. 1-3, p. 41).

Una vena surrealista riesce a trasformare, come in Prévert, i momenti critici in nonsense che sottolineano  con una delicatezza incisiva, le assurde restrizioni di ogni libertà. Così in “Spacciatori di crostate”, c’è un altro dialogo con Carlo, in cui l’obbligo della certificazione fa da sfondo alla ricerca del veicolo migliore per spacciare crostate: “Ma secondo te, se uno volesse spacciare delle crostate, sarebbe più sicuro l’autobus o il taxi? / Carlo, secondo me è più sicuro l’autobus.”(Spacciatori di crostate, p. 73).

La spensieratezza alla fine pare evaporare per un ritorno più lirico alla terra, in una dimensione arcana e tribale. Pietralata è antica matrice. Ho letto che il suo sottosuolo fa affiorare resti paleontologici e che i nomi delle vie prendono il nome di specie minerali e vegetali. I versi di Claudio Orlandi vanno alla ricerca di queste pulsazioni ancestrali, di un abbraccio rituale con la natura, tanto nelle poesie quanto nelle canzoni. “Alla luna”, fa parte dell’album “Orsa Maggiore” del 2011.

Chiome di foresta si attorcigliano al mio corpo

                lasciando

solchi inauditi e fecondi

bizzarre figure confondersi 

alla luna

alla luna si ricorre


Mais non, c’est la vie

(Alla Luna, p.104)

Come espressione di primordiale e fresca bellezza, al di là di ogni canone umano, appare l’animale totemico di questa raccolta: il cervo. “Una bellezza immersa nella solitudine dei petali appena bagnati/ Ritornerà alla luce come l’occhio della cerva.”(Frattoli, vv. 2-3, p. 60). La salvezza non è nel transumano, ma, a saperne ascoltare con attenzione i messaggi, nel  preumano, nell’accordo animistico. I versi di Claudio Orlandi esprimono, come senso ultimo, la gratitudine di essere nel mondo insieme ad ogni altra cosa. 

La poesia è sempre delineare un territorio e sempre prevedere ua fuga dalla zona tracciata. Ma dopo essere fuggiti verso il bosco, verso il fiume, verso la montagna, c'è questo ritorno più ricchi di natura e rigenerati al proprio territorio di appartenenza. Al cielo e alle strade di Pietralata.

A Pietralata i cieli scoppiano di salute

l’annus horribilis volge al termine

abbandoniamo le cortecce

la noce di cristallo è viva e salva

un grazie di cuore a chi ha protetto e amato.

Avremo dimora e sarà stillato d’ambrosia

(I cieli di Pietralata, p. 50)


Paolo Gera





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