INTERVISTA a Francesco Benozzo

 

Proponiamo un'interessante e "scandalosa" intervista a Francesco Benozzo, che si interroga sulle tante contraddizioni del nostro sistema scolastico, emerse in modo eclatante con le discriminazioni attuate, nei confronti di docenti ed allievi, durante il periodo pandemico. 



INTERVISTA a Francesco Benozzo

Di Vincenzo Brancatisano

“Io ho sempre pensato che i ragazzi che hanno problemi piccoli o grandi a scuola siano la speranza del futuro”. E ancora: “Ho sempre diffidato degli studenti che hanno ottime valutazioni in tutte le materie”. Vorrebbe dire che non hanno alimentato neanche una passione. E ancora: “Sono un docente universitario, ma sono da sempre per la descolarizzazione. Credo che la scuola sia rimasta essenzialmente, e oggi sia ancora di più, un laboratorio in cui il dispositivo di soggiogamento alleva i cittadini a sua immagine.
È sconcertante che, in un periodo così complicato delle vite di un individuo – quello dell’adolescenza, in cui si affronta il cambiamento totale di se stessi, principalmente con la scoperta sconvolgente della propria sessualità – la scuola intervenga subdolamente insegnando delle regole in una dimensione punitiva”. Il professor Francesco Benozzo è perentorio: “ Le regole – chiarisce ancora lui –si potrebbero apprendere in una dimensione ludica: qualcosa di serio, come ogni gioco vero ha regole serie, ma in cui nessuna ragazzina e nessun ragazzino sia punito se non capisce o se sbaglia. Ci pensa già la vita a punire, la scuola dovrebbe far capire che esistono regole ma che se si perde o non si capiscono, si ricomincia da un altro mazzo di carte.

Benozzo, 54 anni, modenese, è uno stimato docente di Filologia e linguistica all’Università di Bologna. Direttore di tre riviste scientifiche internazionali e di numerosi gruppi di ricerca interuniversitari, coordina il Dottorato in Studi letterari e culturali. Autore di oltre 700 pubblicazioni scientifiche, è un poeta e musicista di fama internazionale, ininterrottamente candidato al Premio Nobel per la Letteratura dal 2015, come si legge sul quotidiano online La Pressa, diretto da Giuseppe Leonelli, con candidature rese pubbliche dal Pen International presso l’università degli studi di Bologna. Benozzo resta fermo nelle propria visione anarchica della società e in questa veste ha anche mal sopportato le restrizioni indotte dalla gestione autoritaria della pandemia da Covid-19. E’ uno dei due docenti italiani sospesi per non essersi vaccinati e non aver voluto presentare il Green pass per lavorare. In tempo di scrutini di fine anno scolastico la posizione di Benozzo sulla valutazione scolastica è al vetriolo: “Vedere degli adolescenti – dice – che in questo periodo dell’anno sono costretti in fretta e furia, ai tempi supplementari, a fare verifiche di recupero, ma recupero di che cosa?, per non essere condannati è uno spettacolo barbarico e agghiacciante”.

E va oltre: “Nessuno parla, non a caso, dell’alta percentuale di suicidi scolastici, una delle piaghe delle vite delle nuove generazioni, una media di 5 al giorno in Europa tra i 12 e i 18 anni”. Le scuole, insiste, “sono piccole prigioni che allenano a vivere nella grande prigione della vita sociale“. E ancora: “Ho sempre diffidato degli studenti che hanno ottime valutazioni in tutte le materie: si abitueranno a pensare che la cosa che conta sia avere successo e che per avere successo, anche da adulti, sia necessario fare quello che il sistema impone, e sapere a memoria le regole che insegna”. E veniamo ai voti, di cui si parla spesso in questi giorni. Nelle famiglie, soprattutto: “Il sistema di voto – chiarisce Francesco Benozzo – è uno svilente progetto di competizione nella cui logica cadono purtroppo anche i genitori: che voto hai preso?, Sei andato bene? Bravo! Sei andato male? Ma come è possibile? E gli altri tuoi compagni che voto hanno preso?…”. Motivare un adolescente, prosegue il docente emiliano, “sarebbe la cosa più bella e creativa del mondo. La scuola è una gabbia che impedisce ogni dialogo motivante. Anche le poche eccezioni luminose di professoresse e professori che non entrano in questa logica devono a fine anno soccombere nella tragica pantomima degli scrutini, termine che viene da “scrutare”: potrei dire sorvegliare e punire. Io ho sempre pensato che i ragazzi che hanno problemi piccoli o grandi a scuola siano la speranza del futuro”.

Professor Francesco Benozzo, lei parla di soggiogamento e di una dimensione punitiva della scuola nei confronti di ragazzi, nel pieno, peraltro, della scoperta della sessualità.

“Il concetto dell’apprendere delle regole è fondamentale. Tuttavia io penso che nel periodo dell’adolescenza – per via della sessualità e non solo, e in più la scuola giustamente pone delle regole che sono utili per la convivenza sociale, che servono a riconoscere il pensiero dell’altro – tutto questo occorrerebbe farlo in una dimensione ludica, dove le regole sono ferree e fondamentali come avviene in qualsiasi gioco. Dove però alla fine, se qualcuno non segue, non si adegua, se è in ritardo, non verrà punito. Se uno perde nel gioco non viene punito, umiliato”.

E invece?

“E invece il sistema del voto crea proprio questo. Si arriva a casa e i genitori chiedono: come mai hai preso questo voto? A quel punto si crea la competizione anche tra le mamme. Anche le mammine sono in competizione tra di loro: come mai sei in difficoltà, come mai questa materia non l’hai capita? E cosa ha preso il tal dei tali nella tal disciplina? Si ingenera una competizione. I nonni dqa parte loro cosa dicono: sei promosso, allora sei bravo, non sei promosso, dunque non sei bravo. Il sistema è quello di punire i ragazzi che prendono dei cattivi voti. Che vengono bocciati, creando delle umiliazioni e tante volte anche delle prese di posizione contro i docenti in una aberrazione che ci mette gli uni contro gli altri. La scuola crea una sorta di sistema di manipolazione dei cittadini. Alla fine dell’anno c’è il delirio, con la rincorsa delle verifiche, una rincorsa che non si capisce a cosa serva. 

Il panico a mio parere viene visto come qualcosa a cui porre rimedio emergenziale. Mi dà l’idea che sia come quando sul cruscotto dell’auto si accende la spia arancione che indica che il serbatoio è andato a riserva, e invece di fare benzina si corre dall’elettrauto. E così alla fine prendi un bel voto alla fine e salvi l’estate. Questo fenomeno di questi giorni a mio parere è un sintomo di qualcosa che qualcosa che va considerato nella sua visione generalista. Io vengo da posizioni di scritti e visioni anarchiche e di riflessioni sul dispositivo di soggiogamento degli apparati statali che intervengono sulle nostre vite. E contesto la visione per cui a scuola gli alunni vengono irreggimentati, e sono formati sulla base del canone del bravo cittadino ma non è detto che il bravo cittadino sia quello che obbedisce. A scuola tuttavia avviene questo: ci si prepara all’idea che occorre uniformarsi a un tipo di regole e di strutture e di dati e di pensiero rispetto a cui se ti adegui sei premiato altrimenti sei punito”.

Però le regole servono per creare una buona convivenza civile, a scuola, ma anche all’università, dove lavora lei, o nella comunità in cui viviamo.

“Io non voglio essere percepito come uno che invita al lassismo. Io stesso sono un docente universitario e mi sembra di capire che anche il sistema universitario crea competizione. Il problema però è la scuola”.

A scuola esistono tante esperienze diverse e nuove

“Il problema è a scuola, perché è lì che i ragazzi sono delle spugne. Tutti gli input che ricevono a scuola poi li plasmeranno per tutta la vita. C’è gente che ha ancora incubi notturni. Non sono ignaro del fatto che esistano da cinquant’anni scuole alternative, come le scuole steineriane e quelle Montessori, ma appunto per questo mi chiedo: è necessario creare delle esperienze alternative a ciò che lo stesso Stato impone? Come mai è necessario? Il fatto che ci siano scuole alternative è una dimostrazione plateale che siamo in presenza di problemi strutturali: la valutazione, il cosa si insegna, il come si insegna”.

Lei parla di suicidi scolastici, e di scuole come piccole prigioni

“Guardi, si parla spesso di bullismo, ma c’è anche il bossismo, che è una variante del bullismo, nel senso che in questi casi è il superiore che ti dice che cosa va bene e cosa va male. Il problema dei suicidi scolastici è gravissimo. La scuola è nata anche per porre freno agli impulsi, ma qui c’è un’altra spia arancione del cruscotto che si accende: limitarsi a dire: non suicidarti è inutile”.

Insomma, la scuola sarebbe secondo lei da eliminare…

“A mio parere, stante la situazione, siccome neppure l’apparato statale è necessario secondo la mia visione anche se da secoli pensiamo che lo sia. Noi diamo per scontata la scuola, come se fosse necessaria”

E non lo è?

“Probabilmente non lo è o non lo è più. E’ come se facesse parte di quei fenomeni aberranti come lo schiavismo o le punizioni corporali delle donne. Secondo me tra qualche anno questa regola per cui dei sedicenni devono stare sei ore fermi intimando loro cosa fare per non essere puniti prima o poi finirà”.

Quando lei parla di descolarizzazione, quindi, non sta usando una metafora…

“Confermo. Quando parlo di descolarizzazione non sto indicando una metafora. Prima o poi le scuole non esisteranno più. Noi diamo per scontato che le scuole siano una parte fondamentale ed essenziale e formante della nostra vita, ma è almeno da porsi il dubbio che sia davvero così. Ovviamente l’obiezione sarà: e io mio figlio dove lo metto quando vado a lavorare? Ma questo dimostra che che cosa sia la scuola per molti genitori: mostra cioè che la scuola ha una funzione di prendersi carico e di occupare il tempo che i genitori non possono prestare ai propri figli in quanto impegnati nel mondo del lavoro, però credo che la scuola sia nata con altre aspettative e non con queste”.

Ma le persone come farebbero a formarsi, senza la scuola?

“Ma formarsi a cosa? A conoscere Leopardi o le regole della fisica? Questo formarsi, avere una cultura parte dall’idea che la scuola formi. Invece i ragazzi avrebbero bisogno di stimoli non coatti oppure di regole del gioco”.

Scendiamo un attimo nel personale, se non le dispiace. Come vanno i suoi figli a scuola?

“Guardi, i miei fgli sono al liceo e vanno pure bene a scuola, dunque la mia è una visione che ovviamente va al di là della sfera personale e anzi ho grande stima del lavoro immane che i docenti svolgono nelle scuole italiane. Nel passato il più grande ha pianto per tre anni alla scuola dell’infanzia e le maestre dicevano: suo figlio ha dei problemi. Io rispondevo che il bambino era sano e che era sano che piangesse per qualcosa di innaturale. Invece si instilla nella società la convinzione che la scuola sia qualcosa di naturale, di innato. È invece qualcosa di culturale e di imposto, non è che veniamo al mondo per andare a scuola. Esistono dei bei libri che ci spiegano perché la scuola sia stata fondamentale: ha aiutato a imparare nell’Italia unita, è un istituto istituto necessario per dare unità ai cittadini, per insegnare la lingua. Però è stata anche una violenza, se si pensa ai ragazzi che arrivavano dalle campagne”

L’attualità scolastica parla intanto la lingua del digitale

“Leggo spesso che a scuola sono vietati i cellulari e i tablet e nello stesso tempo vedo che il 90 per cento dei fondi PNRR vanno alla digitalizzazione visto che il sistema sta imponendo il digitale come strumento di apprendimento che quindi si sostituisce alla figura del docente. Da un lato il sistema impone di usare i fondi per il digitale e dall’altro lato li punisce se usano i dispositivi in classe”.

Guardi che gli studenti il cellulare lo usano durante la lezione quasi sempre per giocare, per distrarsi come zombies o per ascoltare i consigli degli influencers in merito a quali scarpe acquistare.

“La domanda da porsi è: perché questi giovani sono lì dentro? Non perché sono dei debosciati, ma perché non dovrebbero essere là dentro. Il fatto che ci siano degli zombies è una spia del fatto che sia necessario davvero che siano là dentro. Tutte queste cose vanno verso un’unica direzione: la scuola non ha alcun senso. Se a lei, a 45 anni, imponessero di seguire cose che non le interessano, che cosa farebbe? Non è scritto da nessuna parte che è un ragazzino dai cinque anni debba andare a scuola. Certo che c’è scritto, ma non è naturale. Per noi però è diventato naturale. Mi chiedo se lo sia naturale davvero. La mia risposta è la descolarizzazione. La scuola è invecchiata come altri fenomeni sociali, quale è stato il servizio militare, che pure è stato importante nel passato. Il tentativo di rinnovarla a livello governativo o parentale di per sé non serve. Tutte le riforme scolastiche sono fallimentari perché è l’istituto che non ha senso, va tolto, ma è una mia opinione”.

Sarei tentato a questo punto di farle dire qualcosa su Don Milani, nel centenario della sua nascita…

“Guardi, parlare, adesso, di Don Milani è un paludamento del problema. Infatti Don Milani ha fallito. Si parla di lui e lo si commemora per le cose che ha fatto, proprio perché non ha cambiato la scuola, perché la scuola non si può cambiare. Le esperienze alternative, come quella della scuola nel bosco e altre vanno bene, ma invece di pensare a un’alternativa alle cose che non funzionano occorrerebbe riflettere su una istituzione che non ha ragione di esistere”.

Lei dice di avere sempre diffidato degli studenti che hanno ottime valutazioni in tutte le materie: si abitueranno a pensare che la cosa che conta sia “avere successo” e che per avere successo, anche da adulti, sia necessario fare quello che il sistema impone, e sapere a memoria le regole che insegna.

“Questo è il punto cruciale. Gli studenti che hanno buone valutazioni in tutte le materie significa che non hanno passioni, e siccome sono premiati diventeranno quelle persone che la società vuole, perché diventeranno dei secchioni. Chi ha ottime valutazioni chi diventa un modello per le famiglie, chi… mio nipote è bravo, e via dicendo, sono gli schiavi del futuro: si abitueranno a essere premiati e ad avere dei riconoscimenti e a concepire le loro vite in base a ciò che gli altri dicono loro che sia sano. Ma io proprio per questo dico che la mia speranza è di chi ha dei piccoli problemi a scuola. Ho sempre pensato che i ragazzi che hanno problemi piccoli o grandi a scuola siano la speranza del futuro”.

(Intervista apparsa su "Orizzonte Scuola" il )

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