POESIA DI PAOLA GANDIN



 
"In alcune presentazioni di me dicevo: di estrazione proletaria, con una sfumatura d'orgoglio per la famiglia operaia, per quell'appartenenza con gli umili e gli oppressi, mentre mi tatuavo una ICS sulla mano destra per decretare che la voce del Poeta non ha codice fiscale.
Nasco nel 1964, anno del Drago, nella provincia più confinante con l'Est, Gorizia, nella città più a nord del Mediterraneo/ Adriatico, Monfalcone. Da ovest arriva l'industria, da Sud la manodopera. Una chicca incastonata fra Carso e mare, con tanto di Terme Romane miracolose e fiume sotterraneo, votata all'industria navale; l'ho sempre odiata per questo, anche prima che arrivi il camino assassino della centrale a carbone. Insomma nasco nello scempio della città simbolo delle navi da crociera, del cantiere altrettanto assassino, simbolo di amianto, lo stesso che ha portato via mio padre.
Appena imparai a scrivere scoprii la gioia della passione dell'anima e trovai consolazione nei versi lirici di un'adolescenza catastrofica. A vent'anni confezionai la mia prima raccolta di poesie sparse: "Gli ingorghi Gli Sgorghi", un condensato delirante di tensione mistica, di trance ispiratoria che mi accompagnava anche dentro la bottiglia. Perché dove nasco e cresco è paese di beoni e l'incommensurabile frustrazione di poeta che fa la ragioniera, mi fece sperimentare l'ebbrezza alcolica che annienta il presente. Erano gli anni 80 e meno male che c'era una gran bella musica.
La sete di libertà ha sempre accompagnato la mia ribellione endemica, come un pesce fuor d'acqua, a urlare silenzi e sussurrare voragini, nell'abisso del tempo dei poeti, eterno rimbombo la voce del Sé sulla carta. Se rileggo le mie vecchie biografie colgo tutto quel vittimismo da postumi, tutta quella presunzione da Vate ed oggi rido, quanto mi fa sorridere questo mio vecchio prendermi sul serio!
"Ispirata alla propria ascesi, racconta il mondo con l'occhio dell'assurdo e lo spirito della resilienza" si legge nell'ultima biografia e capisco solo ora quanto quel verso "l'occhio dell'assurdo" attraversi tutta l'opera poetica giovanile; è lo sguardo puro del bambino che non sa darsi risposte plausibili a tutto l'orrore che sente scorrere nelle vene del pianeta. E' l'umana me che ancora credeva di cambiare il mondo, ma è anche l'occhio di me stessa nel profondo, come faro puntato nella grotta sotterranea, nel buio di occhi chiusi che aprono le porte al Sé più autentico, alla voce del Poeta.
I poeti sono strani, per lo più incompresi, nati nell'epoca più antipoetica della storia, che gli nega lo stesso senso di esistere, eppure sono nata nel paese dei Poeti, quelli eccelsi, intramontabili più di una Rockstar e quelli della domenica che mettono in rima sentimenti con tramonti.
Nelle mie battaglie contro il patriarcato, contro il nucleare, contro le violazioni costituzionali ai diritti fondamentali, contro la psichiatria istituzione totale, contro la dittatura sanitaria, contro l'usura bancaria, quando ancora credevo nella battaglia, lo facevo con poesia, con l'occhio dell'assurdo e dell'ascesi. Se percorro la mia produzione poetica scopro che questi due sguardi si incrociano, si alternano e rimbalzano tra horror ed estasi per arrivare al buddhico sorriso, al verso che innalza i cuori, annulla i confini tra coscienza ed energia.
Dall'ingorgo del 1984 al Finalmente! del 2018 ci sono 30 anni di metamorfosi, la voce del bruco e la voce della farfalla e la Poesia quel “disco immaginale” che la crisalide attraversa, quello stato in cui il bruco permette il potenziale delle ali. Lì le parole sgorgano a tentare l'inesprimibile".

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