RACCONTO DI ENRICO MACIOCI


 

GREEN PASS


Fermati papà! Laggiù!”

L’uomo accostò a malincuore la Musa in uno slargo, presso un gruppo di querce scheletriche. Sulla strada c’erano dieci centimetri di neve, e sotto la neve un sottile strato di ghiaccio, ma con le gomme termiche l’uomo contava di ripartire senza problemi. Nel momento in cui girò la chiave e spense il motore, tuttavia, pensò con assurda solennità: “Il dado è tratto.”

Moglie e figlio scesero dall’auto.

Dall’altro lato della strada si stendeva un campo cinto da alberi spogli. Dopo gli alberi e oltre un fosso ecco un rilievo scosceso, tagliato dalla cicatrice di un sentiero. Faceva freddo. Qualche fiocco cadeva riluttante dal cielo grigio. I corvi volavano in cerchio. L’uomo aprì lo sportello e rimirò le proprie scarpe da ginnastica. Si fermò coi piedi a mezz’aria.

Vieni?” chiese la donna, guardandolo con un misto di biasimo e ripugnanza – possibile che fosse davvero ripugnanza?

La rabbia lo morse, una corona di fauci piccola ma precisa alla bocca dello stomaco; e i buoni propositi dell’ultima ora e mezza – da quando, dopo pranzo, erano rimontati in auto – svanirono. “Non ho le scarpe adatte” mugugnò.

Perché non ti sei messo gli scarponi?”

Dovevo guidare.”

Perché non li hai portati di ricambio?”

Non ci ho pensato.”

Non ci hai pensato?”

No.”

L’hai fatto apposta.” Non era una domanda.

Macché.”

Sì invece. Non ti andava di venire. Non ti va mai.”

Non è vero.”

Non ti va mai niente.”

Non è vero.”

E’ vero.”

Avevo… ho voglia.”

Lei raggiunse il figlio in mezzo al campo immacolato, dove spiccava una fila d’impronte; e lui ammirò la sua agilità. Aveva qualcosa di erotico. Alzava il ginocchio e affondava la gamba nella coltre senza darsene cura. Lo alzava e lo abbassava. Lo alzava e lo abbassava. Lui osservò di nuovo le proprie scarpe da ginnastica: gli parvero testimoni di un’inadeguatezza fatale.

Sbrigati papà!” Il figlio fuggì. Lei lo braccava bombardandolo di palle di neve, fendendo la neve con quell’eleganza felina. L’uomo poggiò le suole delle scarpe sulla fanghiglia e ripensò alla sera prima. Lei lo aveva sorpreso sul divano mentre lui guardava insonnolito la tv, dopo una settimana di musi lunghi e di lunghi silenzi. “L’amore e l’odio non distano molto” pensò. “Spesso anzi confinano, spesso addirittura si mescolano.”

Il centro più vicino distava quattro o cinque chilometri. Assecondando il figlio, smanioso di trovare neve alta, si erano spinti lungo una via stretta che a furia di curve s’infilava dentro un vallone. Il silenzio sembrava uno strato d’ovatta e i rami nudi sembravano graffi. Dopo le querce iniziava un pendio che scompariva nell’aria lattea. Non tirava vento e all’intorno errava un gocciolio lieve, più un’idea che un suono. L’uomo temé che le grida della moglie e del figlio disturbassero qualcuno, benché non girasse anima viva. Forse la moglie aveva ragione. Forse aveva davvero un principio di esaurimento nervoso (“Il dado è tratto”). Non c’erano baracche né pali della luce lungo quella landa, e gli angoli prendevano troppo spazio.

L’uomo avanzò e il freddo gli avvolse i piedi. La rabbia tornò subito a mordere. Non dovevano trovarsi lì. Per un capriccio del figlio (e della moglie, naturalmente) lui si sarebbe ammalato. La sua opinione veniva sempre per ultima, anzi non contava. Ed era colpa sua, della sua scarsa autorevolezza; e la sua scarsa autorevolezza derivava in larga parte, se non per intero, dalla sua condizione lavorativa, questo ce lo aveva ben chiaro nella testa. Se avesse mantenuto il posto, almeno. Se non si fosse intestardito nella sua sciocca battaglia contro il Governo, una battaglia persa in partenza, una battaglia che perfino Don Chisciotte gli avrebbe sconsigliato… “Il dado è tratto.” Maledizione, viviamo dentro un enorme cumulo di stronzate e bisogna accettarne il peso o uscirne; e chi mai trova il coraggio di uscirne? Chi osa sottrarsi a quel cumulo di stronzate che ti garantisce cibo, acqua, un tetto sulla testa e la ragionevole speranza di non trascorrere i tuoi giorni dentro una scatola sporca di piscio alla stazione dei treni? Io, ecco chi. Io, e per una merda di lasciapassare sanitario. Solo che non è un lasciapassare sanitario, è politico. E’ uno strumento di ricatto. E’ un…

Papà?! Svelto!” insisté il bambino. La donna raccoglieva, appallottolava e scagliava la neve, i capelli bagnati, le guance di porpora e un sorriso sulle labbra. L’uomo invidiò la capacità della moglie di mettere da parte le grane per dedicarsi alle gioie più effimere. Sapeva che ne era capace solo grazie al bambino, e che se non ci fosse stato il bambino lo avrebbe già mollato da un pezzo… e sapeva altresì che proprio perché c’era il bambino stava considerando seriamente l’idea di mollarlo, lui e i suoi princìpi del cazzo… Una vampa, a dispetto del freddo, gl’infuocò il volto, e allora urlò al figlio senz’ombra d’allegria: “Eccomi!”

Ci sono orme di cinghiale e di lupo! O di orso! O di…Vieni a vedere!” ribatté la voce argentina del figlio.

Papà non può venire” disse la donna. “Ha sbagliato scarpe e se viene si bagna i piedi.” Evitando di guardare il marito si ravviò la chioma, il petto ansante sotto la tuta da sci.

Il bimbo si fermò in mezzo al campo, scrutò il padre da cima a fondo e sbottò: “Uffa! Perché non porti gli scarponi?”

Tuo padre non ha tempo per le stupidaggini.” L’ironia della donna si mutò in aperto dileggio, e un sordo furore avvolse la famigliola nella sua nube venefica: un uomo e una donna che si detestavano, e fra loro soltanto il figlio piccolo. “Tuo padre non ha tempo per i giochi. Deve pensare alle Grandi Battaglie.”

Ascoltandola – ascoltandone il tono – l’uomo seppe una volta per tutte che la moglie lo odiava con quell’odio tipico delle donne stufe – un misto di frustrazione, delusione e schifo. Lei non voleva più trascorrere i propri giorni e le proprie notti con lui e il sesso spiccio della sera prima – i suoi capezzoli in bocca mentre le sue mani la palpavano e la stringevano – gli parve una squallida buonuscita offerta a chi si sta per congedare. No green pass, no party, recitò una voce beffarda nella sua testa, con la erre moscia tipica del Premier. Magari senza la storia del green pass, e senza la sua strenua ostinazione a rifiutarlo, sua moglie non lo avrebbe odiato. O magari il green passa rappresentava solo una scusa, sia per lei che per lui.

L’uomo sostò al centro della via sotto la magra neve che riprendeva a cadere. Se una macchina fosse sbucata dalla curva lo avrebbe colto in pieno davanti a moglie e figlio. Lui lo desiderò. Per lei. Per loro. Per i bastardi che inventavano regole vessatorie. E per sé stesso, che aveva scoperto un animo guerriero nelle circostanze più sbagliate: pochi soldi, molte necessità. Nessuna macchina sbucò dalla curva e l’uomo calcò i piedi intirizziti sul terreno, avvertendo sotto le scarpe da ginnastica l’insidia del ghiaccio. Lo scabro profilo del bosco gli rese insopportabile il pensiero della tessera verde. Gli alberi, che pure in primavera ed estate sono verdi, non si sognerebbero mai di chiederti d’esibire un cazzo di lasciapassare verde. La riflessione parve all’uomo così piena di buon senso da trasmettergli un appagamento fisico. Girò sui tacchi, scivolò, si tenne in piedi per miracolo acchiappando l’aria, aggirò la Musa e s’inerpicò su per la scarpata. Non si voltò verso moglie e figlio. Udiva le loro voci affievolirsi. Aumentò l’andatura e presto guadagnò quota. Dopo pochi minuti si fermò e osservò. Moglie e figlio lo guardavano, affiancati nel riquadro bianco del campo. La differenza di statura fra i due lo sorprese – il bambino era ancora uno scricciolo nel suo piumone rosso e nei suoi moon boot gialli. La valle era un’enorme scatola di polistirolo. Il canto di un uccello si accese e si spense. L’uomo voleva urlare loro qualcosa d’importante, qualcosa che vivaddio sbloccasse la faccenda, ma i due smisero di studiarlo e ricominciarono a inseguirsi e a ridere.

L’uomo si mosse. Arrancò, la pelle tesa sugli zigomi e il fiato corto. Era così ingenuo! Non avrebbe mai imparato la lezione. Mai. Non si sarebbe mai messo in pari con la moglie (che teneva il green pass nel portafogli, e che a pranzo era entrata a comperare il cibo per sé, il marito ed il figlio); presto anche suo figlio l’avrebbe staccato. Lui era un idealista, e qual è la sorte degli idealisti? Rimangono in casa senza lavoro e senza stipendio, ecco qual è. La giacca si lacerò fra i rovi e l’uomo imprecò e si arrestò. Sul sentiero, che dalla neve affiorava come un serpente semisepolto, giaceva un teschio oblungo, la mascella spalancata. Sembrava che lo avessero pulito con uno straccio imbevuto d’alcol. Doveva appartenere a una pecora. I lupi avevano gradito. La vita era insomma questa cosa liscia e zannuta, che ghignava in eterno al vuoto perenne della morte. La vita era questa lotta fra i deboli e i forti, i buoni e i cattivi, e a vincere erano sempre i più cattivi, sempre i più forti. L’uomo si piegò, mise le mani sulle ginocchia e rigettò il pranzo. Un bolo scuro lordò la neve, sprigionando vapore. L’uomo inspirò ed espirò. Ebbe un altro paio di conati e dové impegnarsi per non cascare di faccia nel proprio vomito. Gli giunsero le voci di moglie e figlio. Il lupo mangia l’agnello, pensò asciugandosi con la manica la scia appiccicosa che gli colava dalla bocca. Il tempo rosicchia le ossa. La vita spolpa i sentimenti, li riduce come i lupi riducono le carcasse delle pecore.

Cautamente l’uomo si raddrizzò e procedé. Sapeva che le orbite del teschio lo fissavano. Si domandò se dentro ci fossero i vermi e si rispose che era troppo freddo per i vermi. Intravide una cima di rocce e di alberi contorti. I piedi erano spariti dalla sua percezione. Il vento gli tagliò le guance. Il nevischio deviò e smise. L’uomo udì il borbottio d’un fiume e ne ricavò una fanciullesca eccitazione. Superò di corsa l’ultimo tratto fino al valico, dove si apriva un diverso panorama.

Un monte incappucciato dalle nuvole sbarrava l’orizzonte. A fondovalle correva un nastro grigio, tra sponde verde cupo. “Potrei rifugiarmi qui” pensò l’uomo pulendosi ancora il labbro con la manica. “Qui non avrei bisogno del green pass. Qui potrei sparire per sempre, diventare un mistero, una leggenda.” Benché si trattasse d’una fantasia ridicola, sorrise. Lo sforzo e la nausea lo avevano liberato e ripulito. Il figlio urlò ma l’uomo non distinse le parole. Il bimbo aveva cinque anni e una vita davanti, e lui non intendeva rinunciare a vederlo crescere. Accovacciati l’una accanto all’altro, la donna e il bimbo toccavano un oggetto per terra. L’uomo si riconfortò. Una magia scaturiva dalle fronde secche, dalla terra umida, dal fiume grigio, dalle sponde verdi. “La vita mi appartiene” pensò l’uomo con un fremito di gioia. “Mi appartiene, nonostante tutto.”

Udì dei passi e si voltò.

Un tizio puntava spedito verso di lui. Usciva dalla foresta di là dal valico. Era alto e robusto, con la barba fulva e i capelli fulvi, e impugnava un bastone. Dal bastone sprizzavano scintille fulve. “Adesso ci penso io a lei” disse il tizio, battendo il bastone al suolo. Ne sortirono scintille più grandi, che aprirono buchi nella neve. Dai buchi esalò del fumo. Il tizio non pronunciava bene le parole, come se masticasse tabacco. Indossava scarpe sporche di fango, un pastrano lo copriva fin sotto la cintola. “Cosa ci fa lei quassù, per la croce di Cristo? Adesso ci penso io.”

Ehi, aspetti.” L’uomo, sorpreso e spaventato, fu per aggiungere: adesso le mostro il green pass… e dové tacere. Sebbene moglie e figlio distassero poche centinaia di metri, provò per loro una nostalgia definitiva. Rimpianse il seno liscio della moglie e la pelle liscia del figlio, rimpianse i bei ricordi e le possibilità inesplorate, rimpianse ciò che lo aveva oppresso, frustrato e umiliato, rimpianse di avere dedicato tanto ardore a guerre fasulle, create apposta per intrappolare gl’ingenui come lui. “Siamo all’aperto!” protestò.

Il tizio ghignava. Denti guasti baluginarono nella barba.

Io…”

Chi le ha dato il permesso di salire? Eh?” Il tizio era molto arrabbiato, e l’uomo si sentì molto in colpa. “Il WWF? I sindacati? Il clero? I democratici? I neonazisti? I sovranisti? I comunisti? La Silicon Valley? Le èlites cinesi? La Lehman Brothers? La Black Rock? Big Pharma? Il Dalai Lama? Le femministe? L’Arcigay? La Reale Mutua? Bankitalia?”

Questa è una montagna, non una proprietà privata” tentò di nuovo l’uomo. La sua obiezione suonò fiacca alle sue stesse orecchie. Le accuse del tizio erano troppe, e troppo circostanziate.

Non doveva portare le sue zampacce quassù, per tutti i briganti dell’inferno! E con quelle scarpe da frocio, poi” masticò il tizio, fermandosi a un palmo dall’uomo. Sovrastava l’uomo di dieci centimetri e puzzava di vino e ricotta. La pancia gli sporgeva come un sacco di patate. Dall’orlo del pastrano erompeva sul collo un ciuffo fulvo e folto quanto barba e capelli. Aveva occhi piccoli di un blu intenso, ragnati di capillari e maliziosi.

Aspetti” balbettò l’uomo. “Ho scaricato il green pass sul cellulare, e il cellulare è in macchina…” Si rendeva conto che non doveva mentire, che non aveva alcun senso mostrare il green pass in montagna, che gli alberi…

Doveva pensarci prima, per il Golgota!” tuonò il tizio. “Per il tempio dei mercanti con dentro tutti i filistei! Per Giuda e per Erode e per quell’incapace d’un Ponzio Pilato!” Gli piantò una bastonata in pancia. Le scintille fulve si mescolarono al sangue, che si versò immediato e abbondante. L’uomo cadde sulle ginocchia nella neve sporca di rosso. “Doveva pensarci prima invece di ficcanasare quassù.” Una seconda bastonata colpì l’uomo alla tempia. L’uomo sentì il cranio spezzarsi. “Almeno quello della pecora l’hanno lasciato intatto” pensò. Precipitò all’indietro e batté la nuca contro un sasso. La nuca si sfondò e rovesciò un lembo di cervello simile ad albume. “Prima il vomito, poi il sangue, ora il cervello” pensò la materia grigia che fluiva dalla nuca dell’uomo.

Chi la manda?” indagò il tizio, troneggiando sull’uomo riverso al suolo. “Mi risponda! E non menta. E’ stato il prefetto? L’amministratore comunale? Il vescovo? I servizi segreti? I virologi? I carabinieri? Il Presidente del Consiglio? Quelli del CTS? La polizia? Gli animalisti? I testimoni di Geova? Il terrorismo? I pastori rumeni? I fondamentalisti islamici? La CIA? Le casalinghe disperate? Zorro? I no vax? Capitan Harlock? I no mask? Topolino? I portuali di Trieste? Batman? I terrapiattisti? La Congrega dei Bigfoot?”

L’uomo tacque. I suoi pensieri si annacquavano. Aveva deciso lui di raggiungere quella cima. Non lo aveva costretto nessuno, stavolta. “Il dado è tratto” pensò ancora, il cervello mezzo dentro e mezzo fuori. La sua coscienza ronzava sulla neve, affondava nella neve, moriva nella neve.

Il tizio impugnò il bastone con ambo le mani e avvicinò la punta d’acciaio alla giugulare dell’uomo. “Benvenuto nella comunità no green pass” mormorò con sommessa, selvaggia felicità.

Poi spinse.

Enrico Macioci


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