POESIA DI CLAUDIO ORLANDI



 

Pubblichiamo oggi il testo di Claudio Orlandi. Sempre in situazione di forte crisi istituzionale le persone coscienti si pongono interrogativi sull’utilità e sull’efficacia della parola. “ E come potevamo noi cantare…”, chiedeva Salvatore Quasimodo a proposito della situazione dell’Italia sotto l’occupazione nazifascista. Ci sono momenti, come questo che stiamo vivendo, in cui il proprio dire, anche coraggioso, anche resistente sembra non avere più importanza e allora si immagina che le parole impiegate abbiano in sé la forza della prassi, una prassi inaudita, portentosa. C’è della rabbia perché l’azione paziente ed erosiva del discorso ragionato sembra non arrivare mai a raggiungere una sua influenza sulla realtà e si vorrebbero parole il cui senso possa avere un impatto finalmente riconoscibile, finalmente rivoluzionario. Al componimento di Claudio Orlandi vogliamo affiancare un pensiero di Antonio Gramsci, che definiva la prassi come “un umanesimo assoluto della storia.” “Il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento, e se questo cambiamento è razionale, il singolo può ottenere un cambiamento ben più radicale, di quello che, a prima vista, può sembrare possibile” (A.Gramsci, Quaderni del carcere, p.1346)

(Paolo Gera)


Perché dovrei scrivere?


L’inutilità delle parole, di azioni non efficaci, che non pongano in essere una realtà

in grado di rivendicare la propria esistenza, mi spaventa.

Modificare molecolarmente, geneticamente l’esistente, entrare nei tessuti sociali.

Questo avrebbe un senso.

Spostare metri cubi d’aria. Centinaia di metri cubi d’acqua.

Questo avrebbe un senso.

Far arrossire il colore rosso. Morire d’anguria. Affogare nei fichi.

Questo avrebbe senso.

Spostare un quintale di capelli, centinaia di metri cubi di lingue ed occhiali

cataste di legna

ardere.


Avere un senso. Concretamente riconosciuto.

Interagire tenacemente con la realtà.

Questo avrebbe un senso!


(Tratta da "Il mare a Pietralata" Tic 2021)



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