MONICA FERRANDO, LA PASSIONE DELL'ELEZIONE: DAL SERVO ARBITRIO AL SERVO SGUARDO di Paolo Gera
Monica Ferrando, L’elezione e la sua ombra, Il Cantico
tradito, Neri Pozza, 2022
Il compito dello studioso è non
scivolare nel fanatismo di certe frange visionarie, che gridano al lupo, senza
seguirne le tracce insanguinate, ma di
risalire alle origini per poi ricostruire il processo storico sino agli esiti
dei nostri giorni. Questo è l’intento profondo di Monica Ferrando nel libro “L’elezione
e la sua ombra, Il Cantico tradito.”
Il punto dirimente è il disconoscimento
da parte di Martin Lutero della radice ebraica dell’elezione religiosa di cui parla San Paolo nella Lettera ai
Romani e il passaggio del testimone ai gentili della Chiesa riformata. Questo
mutamento riguarda anche il trasferimento di un potere in origine politico, riconoscibile
nella Chiesa romana, a quello economico del capitalismo e da un punto di vista
geografico dal Sud al Nord dell’Europa. Nel libro sono riportate le teorie di
Max Weber: il puritanesimo dà il colpo di grazia alla extramondanità della
salvezza attraverso la teoria della predestinazione e del servo arbitrio
e impone una visione del mondo in cui, essendo liberi dal meritarsi il paradiso
attraverso la necessità delle opere, ci si guadagna profitto e ricchezza
attraverso la progressione del proprio lavoro, pulito o sporco che sia.
L’accumulo del capitale è segno della benevolenza divina. Si deve allora
trovare per il regno dello spirito uno spazio di realizzazione nel qui ed ora. Il
nuovo continente, L’America, libera dalle strutture dottrinarie europee e
orientata verso la produzione di commenti scritturali autonomi, viene investita
della missione di costituire una vera e propria universitas Christiana,
che altro non è se non il progetto di un imperialismo para cristiano. Mi
permetto di sottolineare che addirittura
la cultura alternativa degli anni Settanta deve pagare un debito a questa
visione immanente del Paradiso. Philip K. Dick interpreta il passo evangelico :
“Perché il Regno dei Cieli è dentro di voi”(Luca 17, 20-21), come
possibilità, attraverso esperienze psichedeliche e addirittura rapimenti da
parte di alieni, di raggiungere realmente questa dimensione edenica.
Nessuna fuga. Nuove esperienze
societarie e sapienziali, del tutto immuni dal nuovo fideismo sorto nei
confronti dello Stato , dovrebbero sorgere invece ora a difesa dei diritti
personali, dopo la brutale negazione delle libertà individuali operata dalla
politica dell’emergenza sanitaria.
Per Monica Ferrando è il filosofo Locke a dare un energico
colpo di scure alle pretese che possa esistere un diritto naturale precedente
la Legge. Nessuna regola umana è impressa nei nostri spiriti ed è solo
lavorando e studiando che si può
accedere a una dimensione etica, negata agli incolti. Locke sostituisce lo
stato monarchico assoluto di Hobbes, con la società civile, in cui però solo
gli specialisti possono assurgere a una coscienza morale. La Scienza rivendica di essere sempre dalla
parte del giusto, senza possibilità di smentita, e nega ogni possibile
tentativo di discussione: Scienza e Etica coincidono perfettamente ed è un
gruppo di eletti a tracciare i confini delle loro asserzioni, non confutabili
neppure attraverso l’esibizione di prove certe. La propaganda– tuba mirum
spargens sonum– asserisce e nega, come ai tempi di Goebbels. Ricordo che nel
romanzo The circle (2013), Dave Eggers immagina una struttura
aziendale in cui la ricerca scientifica non può svilupparsi se non attraverso
paradigmi di trasparenza esistenziale assoluta: ogni materiale biografico deve
essere accessibile in tempo reale ad ogni membro, ogni minuto vissuto deve
essere condivisibile e visibile in chiaro. A questo genere di condotta morale
ineccepibile, indotta dal controllo totale, può arrivare la società dei
tecnocrati neo puritani di una qualsiasi Silicon Valley.
Altra tesi sviluppata da Monica Ferrando è che il canone
estetico riveli sempre la sua finalità ideologica. La Germania, superando lo
stile latino di cui fu mecenate nel Rinascimento la Chiesa romana, abbraccia
con Winckelmann la purezza greca: “Non si era trattato di un cambiamento di
stile, in realtà, ma di una trasmutazione dei valori (Umwertung) che
superava l’Umanesimo e inaugurava un modo nuovo di porsi di fronte al passato”.(pp.
72-73) Ma cultura e vita si intrecciano pericolosamente ed ecco che “a
profilarsi, minaccioso e perfetto, è un nuovo statuto del corpo, di tipo
spartano, cioè militare.”(p. 74) Quei corpi, dopo le prove generali nello
stadio di Norimberga, avrebbero dovuto sfilare superbamente attraverso la
Capitale Mondiale Germania, progettata dal Superclassicista Albert Speer.
La citazione da Primo Levi, ne I sommersi e i salvati,
è indispensabile per comprendere la continuità tra lo spietato metodo nazista e
l’eredità ideologica che le forze capitaliste postbelliche hanno custodito e
fatto fruttare: “La distruzione di un popolo e di una civiltà si è
dimostrata possibile, e desiderabile sia in sé, sia come strumento di regno.(…)
Dopo la disfatta, la silenziosa diaspora nazista ha insegnato le arti della
persecuzione e della tortura ai militari ed ai politici di una dozzina di
paesi, affacciati al Mediterraneo, all’Atlantico ed al Pacifico. Molti nuovi
tiranni tengono nel cassetto la «Battaglia» di Adolf Hitler: magari con qualche
rettifica, o con qualche sostituzione di nomi, può ancora venire a taglio.”(pp.
148-149). Ma la colonizzazione esterna delle nazioni corrisponde internamente
alla sollecitazione di quella “zona grigia, virtualmente presente in
ogni stato di pigrizia mentale e cieco conformismo al potere”(p. 146), che
Hanna Arendt localizzava come banalità del male. Omologazione, pensiero unico, accettazione
acritica di ogni informazione ufficiale, sino a “produrre immancabilmente la
situazione psicologica generale necessaria a rispondere in modo massiccio e
prevedibile a un dato evento.”(p. 132)
È l’altro Levi allora, Carlo, a combattere la visione
universalistica e la globalizzazione ante litteram, con il tentativo
assolutamente necessario di legare il processo filosofico e artistico al
particolare del territorio. Se il suo patrimonio
artistico, le tradizioni, le feste sono state catalogate e mummificate dalla
storia dell’Arte, dall’antropologia e dall’etnologia, il Sud deve ritornare a
proporsi come libero crogiuolo creativo
, dove la norma e la serialità hanno
scarsa presa. L’esempio scelto da Monica Ferrando ricuce ancora l’antica radice
religiosa, con le necessità dell’attuale strategia di riconoscimento e resistenza: “La tunica di
Gesù, come tutti una volta sapevano nel Sud dell’Europa, era inconsutile,
cioè senza cuciture, a indicare che l’umano, nella perfezione di cui Gesù può
essere simbolo, non è una somma di pezzi, una annessione di territori e di
culture da unire insieme col fil di ferro dell’evangelizzazione, ma è già
sempre tutto d’un pezzo e indivisibile.”(p. 112)
A ricucire invece
l’inizio e la fine del libro è la donna, tanto nella manipolazione della sua
figura e del suo richiamo, quanto nella verità profonda del suo corpo e dei
suoi affetti. Monica Ferrando a conclusione richiama la figura di una Grimilde
nordica, che per Fabrizio De Andre di “Storia di un impiegato” si incarnava
nella Statua della Libertà americana. Mi si permetta, con un sorriso maligno,
di riconoscerne ora le fattezze nella
Presidente del Consiglio Europeo, Ursula von der Leyen. .A questo modello in
apertura si contrapponeva la sposa del Cantico dei Cantici, bruna, ma bella,
meridionale, scartata alla fine per la sua allegoria troppo sciolta e
perturbante. La sposa guardava fissa e
senza soggezione negli occhi dello sposo.
Ora, che la parabola costrittiva si è conclusa, più che al distoglimento
si è arrivati a quell’accecamento profetizzato da Pier Paolo Pasolini e
ribadito efficacemente da Ferrando:
“Si tratta, per la macchina
teologica-economica ispirata dal protestantesimo come religione del
capitalismo, di riuscire a fare sì che i destinatari dell’imperialismo
culturale –cioè le classi che lo subiscono maggiormente sul piano economico –
guardino se stessi e il loro mondo con occhi che non appartengono più a loro e
al loro mondo.”
(p. 130)
La possibilità di un riscatto di fronte
a questa o qualsiasi morte, è la sapienza della madre o sapienza come madre,
custode di una legge propria della natura umana che nessun diritto potrà
sovrastare. Vado con la memoria alle
madri descritte da Primo Levi che nel campo di concentramento di Fossoli lavano
e preparano cibo e giocattoli per i loro bambini, anche se sono perfettamente
consapevoli che la destinazione del viaggio sarà Auschwitz. Alla voce di una
donna, Simone Weil è riservato nel libro di Monica Ferrando il congedo, che è un incitamento a un nuovo e definitivo
riscatto: “è tempo di rinunciare a sognare la libertà, e di decidersi a
concepirla.” (p. 150)
Monica Ferrando
Ha pubblicato vari studi di filosofia e pittura. Ha curato le edizioni italiane di Triade e de I nomi degli Dei di Hermann Usener, di Ercole al bivio di Erwin Panofsky e di La pittura e lo sguardo di Avigdor Arikha (Neri Pozza, 2016). Dirige la rivista on-line «de pictura» www.quodlibet.it/riviste/testata/80. Ha pubblicato L’oro e le ombre (Quodlibet, 2015), Il regno errante. L'Arcadia come paradigma politico (Neri Pozza, 2018)
Paolo Gera
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