EUGENIO MONTALE E I NUOVI GESUITI di Paolo Gera



"E il Paradiso?  Esiste un paradiso?" "Credo di sì, signora, ma i vini dolci non li vuol più nessuno."(E.Montale, XENIA II, 8)

"Satura" è una raccolta di Eugenio Montale che comprende testi che vanno dal 1962 al 1970. La prima parte ha per titolo "Xenia" ed è solo alle poesie successive, scritte fra il 1968 e il 1970, che viene riservata più propriamente la denominazione di "Satura". Sono, come tutti sappiamo, anni di grandi trasformazioni ideologiche e di costume, spesso fittizie e facilmente incanalabili nel progetto consumistico della società dello spettacolo.  Montale in questi anni assume una posizione di solido scetticismo,  lasciando che l'insegnamento artistico della tradizione latina, confluisca in uno spirito ironico di fronte al mondo contemporaneo e alle sue astrusità. "Il cielo non è un boomerang gettato per vederselo ritornare"(Satura II, Cielo e Terra, vv. 5-6), scrive, quasi rispondendo a chi voleva al cielo dare l'assalto, o attraverso i voli dell'utopia o attraverso le scale di un Giacobbe che stava trasformando la fede in Dio in quella della Scienza e che voleva arrivare in fretta lassù attraverso il supporto della tecnologia. L'uomo raggiunge la Luna e vi  cammina sopra. Gli slanci dell'immaginazione si trasformano nella Nuova Frontiera del  capitalismo americano. Montale scrive in "Satura" poesie che applicano i paradossi della logica per dimostrare quanto sia illogica la speranza divenuta certezza  nelle  umane sorti e progressive. 

Monica Ferrando, di cui abbiamo pubblicato qui una recensione al suo interessantissimo ultimo libro "L'elezione e la sua ombra-Il Cantico tradito"(Neri Pozza), ci ha invitato a porre l'attenzione  su un testo contenuto in "Satura", "A un gesuita moderno", in cui Montale muove una critica ferocemente attuale al tentativo di integrare la scienza alla teologia, Darwin al Punto Omega. Per Monica Ferrando Montale ha avuto la forza profetica di guardare in faccia il gelo incipiente, ma già ben riconoscibile, con cui la teologia ha legittimato i nuovi confini della ricerca medica e informatica di questo ultimo sconvolgente periodo. Il gesuita moderno a cui dedica il suo tagliente componimento Eugenio Montale, è il paleontologo e teologo francese, Teilhard de Chardin.


A un gesuita moderno


Paleontologo e prete, ad abundantiam

uomo di mondo, se vuoi farci credere

che un sentore di noi si stacchi dalla crosta

di quaggiù, meno crosta che paniccia,

per allogarsi poi nella noosfera

che avvolge le altre sfere o è in condominio

e sta nel tempo (!),

ti dirò che la pelle mi si aggriccia

quando ti ascolto. Il tempo non conclude

perché non è neppure incominciato.

È neonato anche dio. A noi di farlo

vivere o farne senza; a noi di uccidere

il tempo perché in lui non è possibile

l'esistenza. 


Di fronte all'assioma di Teilhard de Chardin, per cui sicuramente anche le coscienze umane subiranno un'evoluzione interiore che le porterà a saldarsi, in una connessione collettiva, nella cosiddetta 'noosfera' , Montale ricorre a un abbassamento retorico, sancito dal riferimento a un piatto povero della cucina ligure, la "paniccia" o panissa, di cui il "sentore", l'accidente allettante della crosta, non può avere la meglio sulla sostanza nutriente dell'impasto.



La rima paniccia-aggriccia ci porta versi registri danteschi infernali, materialistici, mentre dall'altra parte ci sono i sofismi paradisiaci del tutto approssimativi delle sfere celesti condominiali. Mangia quello che hai nel piatto, rivolgiti alla realtà della terra, piuttosto che seguire il fumo vano della teoria.  A un divenire senza pause o intaccature, a un progresso inevitabile, sostenuto dal teologo francese, Montale sembra contrapporre, l'Essere parmenideo. E Dio? E' in fasce ed è nella volontà degli uomini, nella loro immanenza, farlo crescere o buttarlo con l'acqua di teorie pregiudiziali e ipocrite.

La lucida profezia richiamata da Monica Ferrando e la sorprendente aderenza dei versi montaliani  ai nostri tempi, è testimoniata da altri passaggi delle poesie di "Satura": "Qualche volta s'incontra l'ectoplasma/d'uno scampato e non sembra particolarmente felice./Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato./Gli altri, nel sacco, si credono/ più liberi di lui."(Satura, I, 2, vv. 12-16); "l'eternità tascabile/economica/controllata/da scienziati/responsabili e bene/controllati"(Satura I, Fanfara, vv.38-43); "Piove sui nuovi epistèmi/del primate a due piedi,/ sull'uomo indiato, sul cielo/ominizzato, sul ceffo/dei teologi in tuta/o paludati"(Satura II, Piove, vv.41-46).

E il poeta? Quale la sua posizione nei confronti di questa costruzione di nuovi sistemi dottrinali, ai tempi di "Satura" e oggi? Ecco la risposta di Montale che mi sento fortemente di sottoscrivere.

Con orrore
la poesia rifiuta
le glosse degli scoliasti.
Ma non è certo che la troppo muta
basti a se stessa
o al trovarobe che in lei è inciampato
senza sapere di esserne
l'autore.

(Satura I, LA POESIA, 2)

A queste mie breve riflessioni aggiungo i liberi commenti interni di altri scrittori, che hanno dialogato con me su "A un gesuita moderno". L'edizione di cui mi sono servito è "Eugenio Montale, Tutte le poesie, Lo Specchio, Mondadori, 1979.

Paolo Gera


***


Mario Marchisio

Culmine involontario dell'antiteologia cattolica, Pierre Teilhard de Chardin tentò invano di conciliare il dato biblico con le dottrine evoluzionistiche.Qui Montale estrae di tasca l'acciarino e con calma dà fuoco alle polveri della sua beffarda ironia.Vale inoltre la pena di osservare la consonanza probabile fra i versi 10-11 ("È neonato anche Dio. A noi di farlo / vivere o farne senza [...]") e la "teologia del processo" di Alfred N. Whitehead, incompatibile anch'essa con la rivelazione biblica ma formulata se non altro da un filosofo agnostico e non da un gesuita.

Riccardo Manzotti

Chi usa l’idea di dio pet rendere l’uomo piccolo, come Teilhard de Chardin offende la natura dell’uomo che è fatta di esistenza e che trova, propria nell’ immanenza pura dei suoi giorni, il suo valore. Senza essere afflitto da ingannevoli trascendenze, dal timore del non essere o dal vuoto della possibilità.

Paolo Pera

A un gesuita moderno (da Satura), testo in cui Eugenio Montale entra in polemica con il paleontologo e teologo Teilhard de Chardin e la sua visione deterministica del mondo e dell’uomo. In un ironico attacco alla concezione del teologo, con sugosissime rime (paniccia/aggriccia) e immagini ad accusare l’assurdo, il poeta prende l’occasione per indicare la propria concezione agnostica della realtà, di dire come Dio prenda vita nell’adesione dell’uomo all’idea di Questi e di come occorra sopprimere il tempo in sé per non esserne soppressi. 

Luciana Lanzarotti

Questa poesia a mio avviso è davvero oltre il tempo. Da ciò che sento o capisco, a parte un darsi sempre ritmico seppure le rime siano in lui scarse, paniccia aggriccia, ma è il pensiero portante che diventa verbo in lui, qui  nel senso di limitatezza che percepisce, appunto sino ad aggricciarsi, nel religioso “spiegato”. E tutto inizia e finisce in “uccidere il tempo”.  Dentro il tempo ( come limite o misura ) non è possibile esistere ( come essere, meglio “esistenti” eterni, si è crosta o paniccia, più paniccia che sta nella crosta, ma ancora limite ). Molti mistici nel mondo, o meglio pensieri mistici fatti anch’essi comunque di croste e panicce  pensano una “cosa”, ad esempio alcuni popoli aborigeni: che sia errato guardare le cose e che le cose esistano in quanto separate. Ebbene il “senso” non sta nelle cose ma nella loro separazione. In quel vuoto o nulla ( appunto indefinito e senza tempo ); lì sta l’esistenza TUTTA.Oggi la quantistica cambia l’idea di tempo. E non l’afferra appunto, se non guardandolo lo sposta. Esistere è quel “nulla” in cui si perde il limite e coincide con tutto. Lui lo dice “semplicemente” in modo dove persino Dio non nasce perché oltre il tempo e non scrivo neanche “è” perché “essere” si incide in un tempo ( in effetti per mostrarsi s’incarna. Paniccia e crosta. Ma non in questo sta il REGNO ). In Montale si sta al limite del disegno pronto a dissolversi per “essere nel non essere”.


Alessandra Gasparini

Montale pensa, come me, che il tempo a cui dare importanza sia adesso e l’essere a cui dare importanza sia ciascuno, presi uno ad uno. Non importa cosa sarà in un giorno lontano, se le coscienze si uniranno o resteranno separate. Importa che ogni UNO possa vivere bene il suo ADESSO , poiché “il tempo non conclude perché non è neppure cominciato”. Il tempo infatti lo costruiamo noi, momento per momento. Anche Dio nasce ora, con il nostro pensiero lo creiamo. È il nostro Dio personale, se decidiamo di averlo. Poiché “tutte le religioni del Dio unico sono una sola” ( E.Montale, La morte di Dio). Allora, cerchiamo di costruire un tempo bello, un Dio buono. (Questo è un pensiero creato da me in questo momento, anche se credo che lo ripenserò pure domani).








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