“La tua totale e nobile avversione al green pass”. Ricordando Vitaliano Trevisan

 

La tua totale e nobile avversione al green pass”.

Ricordando Vitaliano Trevisan


Il grande fotografo Joel Peter Witkin, noto per le sue foto di inquietante tremenda bellezza, in una sua intervista ha affermato: “La mia visione è positiva e impegnativa come tutta l’arte dovrebbe essere”. Una frase che si adatta perfettamente anche all'opera di uno dei più grandi scrittori italiani contemporanei, Vitaliano Trevisan, che fino all'ultimo momento non ha mai smesso di donare ai suoi lettori una scrittura impegnativa e, come tutto ciò che ci costringe a confrontarci senza infingimenti con noi stessi, positiva nel senso più profondo.

Nel suo ultimo periodo di vita Trevisan si distinse anche per il suo coraggioso impegno civile, schierandosi apertamente contro le politiche attuate dai governi Conte e Draghi. Queste sue posizioni nette, questa sua “totale e nobile avversione al green pass”, come scrisse in un suo commosso ricordo Camillo Langone, gli attirarono durante quei mesi maree di critiche ed insulti. Creando, in morte, un profondo imbarazzo tra i suoi tanti ammiratori che non solo avevano appoggiato convintamente i vari lockdown e super green pass, ma avevano anche stigmatizzato ferocemente, sui social o sulla stampa, coloro che come Trevisan avevano criticato i decreti e le leggi ideate per contrastare la sindemia. Come sempre, quando ci lascia una grande personalità, anche in questo caso abbiamo assistito alla comparsa di innumerevoli articoli e di post per ricordarlo (e soprattutto per ricordarne la più o meno reale amicizia). In quel periodo, quando alle persone come Trevisan era stata del tutto negata la possibilità di avere una vita sociale, la parola d'ordine sottintesa fu di rimuovere il più possibile dalla scena ogni traccia di queste sue posizioni scomode, di cui andava fiero nonostante i tanti disagi derivanti da queste scelte radicali.

Del resto, com'era possibile vantarsi di essere amici di uno che si diceva orgoglioso di stare al fianco di manifestanti che, altrove, si continuava a definire “complottisti, poracci, fascisti e teppisti”? Com'era possibile ammettere, in quell'Italia moralista ed allergica ad ogni forma di dissenso, che il “più grande scrittore italiano degli ultimi anni” era un convinto ”no green pass”? Semplice: decidendo di separare l'artista (considerato geniale) dall'uomo (in balia di problemi personali), declassando a futili sfoghi o errori, di cui è meglio non parlare, tutto ciò che non riguardava la letteratura. Operazione sempre sommamente rischiosa e, nel caso di Trevisan, doppiamente criticabile.

Ci sembra quindi doveroso offrire una testimonianza del suo impegno non solo in campo letterario, riportando qui alcuni significativi documenti che rischiano di andare smarriti o risultare difficilmente recuperabili, sepolti in mezzo a miliardi di post.


*

ll Manifesto “Green Pass: le ragioni del no”, promosso dallo scrittore Carlo Cuppini e dall’avvocato Olga Milanese (sotto forma di petizione al Presidente della Repubblica, iniziato il 12 agosto 2021 e annunziato al Senato della Repubblica nella seduta n. 358 del 14 settembre 2021) ha quasi raggiunto 50 mila sottoscrizioni. Spiccano i nomi di personalità eccellenti del mondo della cultura, del diritto e del mondo accademico: Giorgio Agamben, Paolo Sceusa, Ugo Mattei, Augusto Sinagra, Marco Guzzi, Carlo Freccero, Fabrizia Bagnati, Franco Berardi Bifo, Vitaliano Trevisan.



*

(…) E ciò che pensa, che dice e che fa, alla vigilia dell'entrata in vigore del green pass per accedere ai luoghi della socialità - dunque teatri, dunque cinema, dunque eventi culturali, letterari e via discorrendo - è prendere posizione.
"Ritengo che, in questo momento, sia giusto, da parte mia, prendermi pubblicamente le mie responsabilità: non andrò in scena o su un set se mi verrà richiesto green pass e/o tampone".
Con queste parole, messe a verbale sulla sua pagina Facebook, lo scrittore, attore e drammaturgo vicentino (si divide tra la sua Campodalbero di Crespadoro e una nuova vita nelle campagne della provincia di Pisa) diventa così uno dei primi artisti italiani a esprimere pubblicamente le sue idee sulla carta verde sanitaria.


Fino ad ora non lo ha fatto quasi nessuno tra i suoi colleghi, pro o contro che siano.
No, nessuno si è esposto, a parte Gassman - cito lui perché lo conosco - ma si sa che è filogovernativo (già nel dicembre scorso l'attore romano aveva auspicato la messa al bando da ristoranti e negozi per chi non si fosse vaccinato, ndr). Io invece non sono compromesso con la politica, non dipendo dall'apparato pubblico-privato, nessuno mi sovvenziona, non ricevo contributi da Comune, Regione o altre istituzioni, a differenza di tanti colleghi, legati all'andamento elettorale. E poi per quanto mi riguarda è una scelta che ha anche un valore etico.

Una scelta consapevole, in termini di possibili conseguenze negative sul piano professionale?

La difesa di una scelta può costare, sarebbe strano se non costasse nulla. Sembra che non ne sia consapevole? L'ho scritto chiaramente nel post. Per esempio è probabile che al debutto de "Il delirio del particolare" (vincitore del Premio Riccione 2017, ndr), a Brescia il 18 ottobre, io non ci sia. Ovviamente sarò invitato e se mi verrà chiesto il green pass - che per me è un mezzo discriminatorio e illegittimo - non ci andrò e così accadrà per tutto, tanto non credo sentiranno la mia mancanza. Green pass o tampone, se li pretendono io non ci sarò più.

Tratto dall'intervista su GDV “Vitaliano Trevisan: «Se mi chiedono il green pass non andrò in scena o su un set» del 4 agosto 2021





*


Intervista di Giulia Guidi a Vitaliano Trevisan


Riaprono i teatri e Vitaliano Trevisan torna subito in scena con il suo monologo “Oscillazioni”, che sarà analizzato e interpretato da Matteo Cremon, nell'ambito del progetto “We Art 3” della Fondazione Teatro Comunale di Vicenza. Lo spettacolo andrà in scena il 30 giugno nel Ridotto, che per le norme di sicurezza passerà da 380 a 50 posti. Per l'autore, che guadagna sui biglietti staccati, una perdita potenziale non da poco.

Ognuno cerca di riaprire come può, con i distanziamenti e le mascherine. Che poi non servono a un cazzo, perché la gente gira con la stessa mascherina da tre mesi, quindi...”.

Prima che i teatri chiudessero, Trevisan stava lavorando nel Ridotto del Verdi di Padova alla messa in scena del suo “Il cerchio rosso” (Menzione d'onore al Premio Riccione 2015, ndr.). “Siccome nessuno lo produce, l'abbiamo autoprodotto con una compagnia di giovani veneti. E' un testo in dialetto vicentino, ambientato tra gli anni '80 e i '90, che parla delle questioni del tempo, eroina, politica, criminalità. Le prove si sono interrotte e non sono ancora riprese. E chissà se riprenderanno: gli attori sono giovani e hanno altro da fare... . Zaia aveva detto una cosa giusta, che le misure erano assurde. E' un vero peccato che non siamo in guerra, se no alla fine verrebbero fucilati per altro tradimento”.

Zaia, però, nel corso dell'emergenza ha detto tutto e il contrario di tutto

"Zaia ha fatto quello che politicamente gli è convenuto. Guarda i veneti, tutti contenti. Cercano di tirarlo via dal Veneto perché è potente, ma non se ne andrà. Ma per me chiunque ci sia (ndr: al governo del Veneto) è lo stesso. Tutto sommato mi sembra meno peggio di Galan, ma non è detto che non finisca in galera anche lui... Dipenderà dai politici, o dai magistrati. Ma tanto i magistrati fanno politica, per cui...".

E di Salvini, cosa ne pensa?

"Niente. Non mi interessa, cosa vuoi che pensi? Penso che il Pd dovrebbe sparire dalla faccia della terra, questo sì. Il Pd mi dà molto più fastidio, più di chiunque altro. Zingaretti vale meno di suo fratello, che è tutto dire, perché è un attore cane. Ha avuto questa fortuna di fare Montalbano, che pure non mi piace".

Quindi cosa vede in giro che le piace

"Le ragazze. Grazie a Dio le ragazze sono ancora una bella cosa da vedere. Quando sono femmine. Anche i maschi, ma con loro non pratico più. Ancora prima di smettere di votare, da più di 30 anni".

Ha svelato un fatto inedito...

"In realtà ne parlo in tutti i miei libri. Ma la gente non legge".

Le pesa?

"Non me ne frega un cazzo. Ognuno legge quello che vuole. Se leggo in pubblico ad alta voce è già diverso, ma quella è una performance. E poi ci sono anche lettori che comprendono, pochi, ma ci sono. Del resto la Lingua non è mai a senso unico: non è che posso pretendere che uno capisca quello che io voglio che capisca".

Tornerà al cinema?

"Intanto non me ne sono mai andato, né ci sono mai entrato, molto semplicemente. Quando qualcuno mi vuole, mi chiama, faccio quello che mi dice di fare, prendo i soldi e torno a casa. Punto. Così ho sempre fatto e così continuerò a fare. Non faccio provini, perché non ho certo voglia di andare a Roma a fare dei provini. Se mi capita di essere lì e un regista mi vuole incontrare lo incontro. Chiamano, tanto ho un agente apposta, con uno per il teatro e uno letterario. Perché non sono vasi comunicanti: quello che sa di cinema non sa di letteratura, quello che sa di letteratura non sa di teatro, quello che sa di teatro non sa delle altre due cose. Non devo più parlare di soldi con nessuno, li pago e sono soldi ben spesi perché non devo trattare di soldi. Mai più tratterò di soldi direttamente. Se non per le piccole cose, come per i festival dove mi rimborsano le spese".

Come ha passato il periodo di lockdown?

"Passeggiando di frodo tra le colline toscane, dove vive la mia compagna. Sono partito quando avevano chiuso i confini regionali da due giorni e sono tornato due, tre giorni prima che le riaprissero. Per il resto ho letto e scritto poco perché ero depresso dal vedere la gente ridotta in questo stato, soprattutto da chi chiamavi i carabinieri per segnalare i trasgressori... . Non ho nemmeno più scritto niente sui social, non avevo niente da dire. Ci vorrà tempo per lasciarci alle spalle questa paranoia. E' surreale, non si può nemmeno andare oltre. Se volessi enfatizzare... cosa vuoi enfatizzare. E' già fiction. Mi fa stare zitto. Mi chiedo se negli anni '70 sarebbe andata così. Le persone erano diverse, adesso sono tutti molto obbedienti. Anche i giovani, soprattutto i giovani. Sono obbedientissimi, evidentemente sono cambiati".

Che ruolo ha avuto la comunicazione in questa emergenza?

"La comunicazione è sempre emergenza perché per ottenere attenzione deve essere emergenziale. Non è il fatto che ha bisogno di essere comunicato ma è la comunicazione che ha bisogno di fatti e se non ci sono li fa. E' ben diverso. Segue l'agenda setting, è l'agenda che detta l'emergenza non l'emergenza che detta l'agenda. E' una cosa ben diversa. La Gazzetta dello Sport è l'unico giornale serio, io leggo solo quello, come tutti i detenuti politici ai tempi di Gramsci. Anche se anche quello ormai sta scadendo".

A proposito dell'infodemia...

"No, infottenimento, perché è una traduzione letterale dell'infotainement. In questo caso è meglio la traduzione letterale dell'originale per una volta. I giornalisti sono infottenitori. Non si tratta di informazione ma, appunto di infottenimento. Se i telegiornali si limitassero all'informazione, quanto durerebbero? Tre minuti? Due? Il resto è intrattenimento. Questa è la realtà, l'informazione non esiste. Punto. E siccome i giornali rincorrono gli altri mezzi di informazione, anche i giornali sono diventati intrattenimento, opinioni... Fatti non si sa dove siano finiti. Se tu chiedi “Cos'è un fatto” nessuno sa risponderti".

C'è un inquinamento semantico quindi

"Che dura da 40 anni. Da quando il buon Eco ha fondato Scienze della Comunicazione, che a tutto serve fuorché a comunicare in modo chiaro, perché se no non avremmo certo bisogno di scienziati per comunicare. Casomai il contrario, servono per complicare la comunicazione in modo da formare degli esperti. Cosiddetti “esperti”. Perché se fosse una cosa seria... ma seria non è. In teoria il linguaggio dovrebbe interessare tutti. Il vero problema è che le persone sono spesso dissociate e poco presenti a sé stesse, pochissimo presenti a sé stesse, nella vita. In un posto come questo le persone sono molto presenti a loro stesse. Già quando scendo a valle, a Chiampo, è già distrazione di massa. Perché, perché la lingua è sempre più astratta e si basa su temi astratti che non hanno un contrappeso reale. E lo vedi in un qualsiasi cosa. La gente parla, usa delle parole, non sa realmente a cosa queste parole si riferiscano. “Violenza”, per esempio, è una delle parole più astratte. Gli attori de Il Cerchio rosso sono molto giovani, circa 25 anni, e nessuno di loro sa cosa vuol dire prendere un pugno in faccia o una zuffa per strada, perché sono nati in questa bambagia che li preserva da tutto e quindi non sanno cosa vuol dire “violenza”. E infatti tutti straparlano di violenza senza sapere che cos'è. Allora siccome devo mettere in scena qualcosa di violento ho dovuto traumatizzare uno di loro".

Come?

"Facendo la scena violenta con lui, che doveva prendere delle botte, dandogli le botte. Non fino in fondo, però con tutto il corredo di urla, di intimidazioni eccetera, meno le bastonate vere, che all'epoca dei fatti, ovvero all'epoca della mia giovinezza e adolescenza, erano la normalità. E sapevano cos'era un pugno, darlo, prenderlo, quanto male fa eccetera eccetera, questi qua non lo sanno. Molto semplicemente. Non hanno nessun senso della realtà. Perché possono permettersi di non lavorare, o di fare dei lavoretti che comunque non gli danno da vivere, perché così sono stati tirati su, con i soldi del papà della mamma o dei nonni e quindi non hanno idea di cosa voglia dire lavorare, esser presenti a sé stessi. Cosa voglia dire prendere una batosta per strada se fai una cazzata... Ma prima o dopo la prenderanno. Perché vanno di qua e di là, pesteranno un piede per sbaglio e le prenderanno e gli farà molto bene prenderle".

Quindi le persone sono più deboli di fronte a un certo di linguaggio perché non ne conoscono il reale significato?

"Son stupide, totalmente imbambolate, perché non sanno di che cosa parlano. Infatti adesso basta alzare la voce perché uno di dica sei violento. C'è anche il filosofo che dice che il linguaggio è violento di per sé, per carità, possiamo anche spaccare il capello in 4, ma finché uno non prende un pugno sul muso non saprà cosa vuol dire “violento”. Tutto il resto è narrazione, cioè il nulla. I dati reali non esistono. Quindi, finché tu lasci in mano i dati sulla violenza sulle donne alle associazioni che vogliono difendere le donne dalla violenza... . Loro cosa vogliono? I 30 milioni di stanziamento, quella è la realtà. Soldi. E li vorrebbero tutti gli anni. Perché prima dicono che è un'emergenza, l'anno dopo diranno che c'è ancora più violenza, quindi più emergenza, e quindi i milioni diventeranno 35. E dunque l'emergenza si stabilizzerà... Ed è possibile che ci sia un'emergenza stabile? E' un'assurdità, però del resto è così. Antisemitismo uguale. Vaccini uguale. Ci sarà sempre un'emergenza. Però dopo non sappiamo quanti bambini muoiono per il vaccino e anche quando ci sono i dati vengono contestati perché se non vanno bene sono finti. E' una questione di comunicazione, la realtà è inafferrabile. Non si sa cosa sia. Ed è inafferrabile non solo dalla parola ma anche dai numeri, che sono delle altre interpretazione, perché, come dicevamo prima, “dati reali” non vuol dire nulla.

E' narrazione anche la testimonianza di chi ha lavorato negli ospedali durante la pandemia?

"Durante i processi i testimoni sono la parte più debole dell'accusa. E' chiaro che gli ospedali sono stati intasati, ma se parliamo di morti, se è vero che sono stati 49mila i morti per infezione ospedaliera l'anno scorso solamente in Italia, 49mila, allora qual è la vera emergenza? Infezioni ospedaliere o il coronavirus? Durante il coronavirus sono crollati i morti per influenza... . Vuol dire che spostano i morti da là a qua. Ma se sono 49mila quelli che muoiono per infezioni ospedaliere, non è il caso di andare a farsi un tampone perché allora l'anno prossimo saranno 55mila. E allora qual è l'emergenza, signori miei? Quanti ne muoiono di vecchi che vanno a farsi gli esami in ospedale? beccano un'infezione e muoiono, poveretti. L'uomo sano sta lontano dal medico y también dall'ospedale. Ho un amico che è a capo del reparto infettivi e consiglia sempre, non solo adesso, di stare lontano dall'ospedale, perché è pericoloso. Dice anche di non vaccinarsi".

Come di non vaccinarsi?

"Ma leggi il foglio delle avvertenze dei vaccini! Non deve vaccinarsi chi ha le difese immunitarie basse o per malattia o per l'età".

E allora perché consigliano di vaccinarsi?

"E non chiederlo a me, chiedilo a Burioni. Premesso che tutti noi possiamo avere periodi di immunodepresssione, sarebbe bene saperlo prima di vaccinarsi, no? Cosa che nessuno fa, perché si presume che le difese immunitarie siano stabili. Ma non è così, esattamente come la pressione. Se i vecchi hanno le difese immunitarie basse, non dovrebbero vaccinarsi. D'altra parte dicono che siccome sei vecchio ti devi vaccinare. Infatti una marea di gente che si vaccina si ammala, anche perché il vaccino è per il virus dell'anno precedente, quindi a che cazzo serve vaccinarsi se non a sfoltire le liste delle pensioni, a questo punto. Ma naturalmente poi non è stato il vaccino, ma l'influenza... . Se tu leggi le avvertenze di un qualsiasi vaccino, non vaccinerai mai tuo figlio. Le avvertenze le scrivono gli uffici legali e perché: perché se ti succede qualcosa non puoi fare causa. Tra le altre cose c'è scritto che tu dovresti tenere a casa il bambino per 40 giorni perché può essere contagioso. Eppure i genitori spesso portano i bambini a scuola il giorno stesso. E allora mi si deve spiegare perché se in una classe scoppia un focolaio di morbillo è colpa dell'unico non vaccinato anziché di quelli vaccinati. Eppure è scritto nelle avvertenze che sono contagiosi. E poi mi si dice che la gente ragiona? Non ragiona, perché se leggesse... . E dopo lo Stato cosa ci chiede, di leggere le avvertenze e di informarci perché dobbiamo firmare una liberatoria per le vaccinazioni. Però al tempo stesso Burioni e gli altri esperti pagati dallo Stato ci dicono che non possiamo capire perché non abbiamo la laurea. Allora delle due l'una: o non possiamo capire, e mi obblighi, ma se mi fai firmare una liberatoria vuol dire che presumi che io possa capire. E allora me lo spieghi. Giusto? Per tutte queste assurdità c'è bisogno di avere una laurea?".

Forse una laurea all'università della vita...

"No, seriamente. C'è bisogno di avere una laurea di fronte a questi paralogismi evidenti? O serve avere una laurea per capire che tutti quegli artisti che parlano di immigrati non gliene frega un cazzo? Perché non si fanno soldi sul proprio impegno civile, sono affari. Se uno si impegna civilmente non ci deve fare sopra i soldi, perché se no sono affari e non impegno civile. Perché se no fai i soldi sulle sfighe degli altri. Quello che prende la Coppa Volpi (Luca Marinelli, ndr.) e fa il discorso sui migranti... ma che si infili la Coppa nel culo e torni nella sua villa in Toscana o nell'appartamento al Pigneto. Perché Parioli è bene, ma il Pigneto è meglio perchè è più popolare... . E i poveri bianchi li vedono? No. Il povero bianco è sfigato due volte perché oltre a essere povero nessuno ne parla. Nessuno".

Tra i “poveri bianchi” rischiano di esserci anche molti artisti. E' preoccupato?

"Io ho sempre preoccupazioni, non è che guadagno così tanto. Sto finendo di scrivere il mio nuovo libro. E' ambientato sui marciapiedi, nei cessi pubblici, nei parchi qui e in Nigeria. Se la Nigeria non viene da me io vado in Nigeria. Prima lei viene da me, poi io vado da lei. E' ambientato 20 anni fa e 20 anni fa nigeriane e nigeriani li trovavi per strada. E' ambientato nel “terribile mondo della prostituzione” (ride). Ho già fatto alcune letture pubbliche con l'accompagnamento musicale di Michele Rabbia e sarà finito a settembre, ottobre. Works andrà in scena nel maggio 2021 con la regia di Michele De Vita Conti allo Stabile di Bolzano mentre ad ottobre è in programma al Centro Teatrale di Brescia Il Delirio del particolare (vincitore Premio Riccione 2017, ndr.) per la regia di Giorgio Sangati con Maria Paiato. Chiedi a lui su cosa sta succedendo nel mondo del teatro”.

Quando è arrivato il lockdown erano da poco iniziate le fasi di definizione dello spettacolo. Le prove inizieranno a settembre, e, trattandosi di un “quasi monologo”, non dovrebbe avere difficoltà con le norme di distanziamento tra gli attori. Tuttavia, la pandemia ha messo in dubbio tutto, io stesso a un certo punto ho dubitato. Al momento lo spettacolo sarà programmato, poi cosa succederà non lo so – interviene il giovane regista – Io mi auguro che vengano meno le limitazioni per il pubblico. Ci siamo abituati a cambi repentini e può essere che ad ottobre non se ne parli più. Io sono pronto a tutto”.

Che situazione c'è tra le maestranze del teatro?

Le difficoltà si sono acuite: i teatri finanziati pubblicamente hanno continuato a pagare i dipendenti, amministrativi e tecnici, ma tutto il reparto artistico è rimasto a casa, alcuni coi 600 euro, altri no, per via del tetto delle giornate lavorate. E poi la domanda è “cosa succede dopo”? Sicuramente lavoreranno molti meno artisti, e poi molti teatri sono piccoli: come fai a sopravvivere con una decina di spettatori paganti? I lavoratori dello spettacolo in Italia sono precari, cosa che non avviene in Francia, dove i teatri hanno lanciato cartelloni on line per far continuare a lavorare le persone. Qui no. Se su 100 artisti riprenderanno l'attività 30, che ne sarà degli altri 70? Gli effetti della prossima stagione saranno devastanti per i lavoratori del settore, anche perchè il teatro ha bisogno di tempi di progettualità lunghi. Molti dovranno reinventarsi: io stesso, durante il lockdown, ho partecipato a webinar per dentisti...”.


(L'autrice, sulla sua pagina FB, ricorda che si tratta di un'intervista inedita del maggio 2020. La rivista per cui era stata realizzata decise di non pubblicarla).







Commenti

Post popolari in questo blog

MANIFESTO E FIRMATARI

PERCHÉ I POETI? di PAOLO BECCHI